26 gennaio 1943, ricordiamo i ragazzi di Nikolajewka

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In ricordo dei tanti ragazzi che il 26 Gennaio 1943 riuscirono nella disperata impresa di avere la meglio di un nemico che gli soverchiava in forze e in numero, e di tutti coloro che dal fronte russo mai più tornarono, dedico queste splendide parole di Giulio Bedeschi, scritte nel capolavoro “Centomila gavette di ghiaccio”.

[…] Innanzi a Nikolajewka, pervenendo dal calvario lungo il quale s’era trascinata, la sanguinante colonna nella luce di quel tramonto vedeva ormai innalzarsi un’unica croce e spalancarsi una sola fossa; innanzi a Nikolajewka Iddio parve in quella sera aver posto sulla neve il dito gigantesco, a indicare il termine all’inaudita tortura.
Ma altro rivelò, in quell’ora, il disegno eterno.

Un uomo, un solo uomo sommò nell’animo la disperata angoscia di tutti, vedendo i suoi alpini retrocedere combattendo sulla neve; i suoi alpini, poiché egli era il generale Reverberi comandante la Tridentina; e dalla somma di dolore gli scaturì dall’anima un gesto ed un grido.
Fu una cosa semplice, ma condotta a cavalcioni della morte. Esisteva ancora un rugginoso carro blindato germanico in grado di rotolare i suoi cingoli sulla neve grazie a pochi litri di carburante residuo; su quello il generale si slanciò, salì ritto sul tetto, diede un secco ordine al guidatore, il carro si mosse avanzando verso i battaglioni in ripiegamento e verso il nemico.
-Tridentina…! Tridentina… avanti…! – gridò con forza selvaggia il generale Reverberi dall’alto del carro in movimento, indicando col braccio puntato Nikolajewka.
Non fu lasciato avanzare solo: i suoi alpini, riserva disarmata, si gettarono avanti seguendo il carro; generale e soldati raggiunsero i battaglioni che, elettrizzati, fecero massa compatta: il carro sopravanzò trascinando seco il cuore e l’ansito dell’intera divisione; quell’uomo ritto sul tetto metallico non cadde, non fu trapassato, Iddio lo lasciò in piedi, gli consentì di guidare gli alpini fin sulle difese nemiche, di travolgerle in uno slancio furibondo, di rovesciare i cannoni fumanti, di porre in fuga i russi conquistando Nikolajewka e aprendo il varco entro cui dal costone, come richiamata dalle soglie della morte, irruppe la marea d’uomini dilagando nel paese. […]