Brianza perduta, addio anche alla Camera di Commercio?

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Chiamato a trovare un giorno che rappresenti il punto più alto dell’orgoglio brianzolo, perlomeno degli ultimi decenni, non avrei dubbi: il 30 giugno 2009. In una bella cerimonia, molto partecipata, in una cornice stupenda come la Villa Reale di Monza, si celebrò il primo Consiglio Provinciale della neonata Provincia di Monza e della Brianza. Acquistava finalmente il rango, che gli spetta da tempo, il territorio più ricco d’Italia, il più laborioso, il più intraprendente e quello che più di tutti gli altri contribuisce ad ingrassare i forzieri di Roma, con i suoi 11.000 euro pro capite di residuo fiscale.

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Ospitavamo uno degli eventi sportivi più famosi al mondo, il Gran Premio di Monza, vantavamo l’associazione industriali più antica d’Italia, da qualche anno una Camera di Commercio al solo nostro servizio. Quel giorno finalmente arrivava anche la nostra Provincia.

Sono passati poco più di sei anni da quel 30 giugno 2009, ma la Brianza ha perso quasi tutto. La Provincia è stata umiliata e ridotta ad ente pressoché inutile, che sta lì solo a giustificare la propria esistenza. E ci riesce pure male. La Confindustria di Monza, nonostante fosse la più antica d’Italia, si è consegnata a Milano, probabilmente per i piccoli interessi di pochi, disperdendo un patrimonio storico e mettendo a repentaglio le peculiarità del nostro settore manifatturiero. Il Gran Premio di Formula Uno è davvero ad un passo dal volare verso continenti lontani. Rimaneva la Camera di Commercio, creata e plasmata dalle sapienti mani di un vecchio e navigato imprenditore come Carlo Edoardo Valli, che ancora oggi sta al timone. Dico rimaneva, perché in questi giorni si rincorrono voci funeste: la Brianza rischia di perdere pure la Camera di Commercio. Tutto nasce dal solito provvedimento scellerato del governo di Roma, che con Renzi e la sua squinternata banda al comando, non fa altro che partorire riforme idiote che riescono nell’impressionante impresa di creare fastidi, confusioni ed inefficienze, senza ridurre nemmeno di un cent la spesa pubblica. Il decreto Madia (si Marianna Madia è stata nominata ministro, per chi si fosse scordato questa nefandezza) prevede le solite cose a casaccio, in stile renziano: riduzione dalle attuali 105 Camere di Commercio ad un massimo di 60, i presidenti lavoreranno gratis e un taglio netto del 50% ai diritti camerali pagati dalle imprese. Risultato per le casse dello Stato? Nullo, perché le Camere di Commercio, questo a Renzi e Madia dev’essere sfuggito, non ricevono finanziamenti pubblici. Qualcuno potrà pensare che la riduzione del diritto camerale, tra l’altro di un tondo 50%, rappresenterà una bella boccata di ossigeno per le imprese. Sbagliato, perché per la stragrande maggioranza delle aziende, soprattutto le piccole e micro imprese, il diritto camerale è una roba da pochi spiccioli. Gli effetti negativi rischiano invece di essere davvero gravi. I diritti camerali, nelle loro quote più importanti, pesano sulle grandi aziende -che versano in base al fatturato- ma le risorse che gestisce la Camera di Commercio, soprattutto in un’area polverizzata, a livello di imprese, come la nostra, finivano per lo più a vantaggio della nascita e dello sviluppo delle piccole e piccolissime imprese. Insomma, per semplificare: la coppia Renzi-Madia ha lavorato come un Robin Hood al contrario, togliendo i soldi ai piccoli per lasciarli ai grandi.

C’è da dire che nonostante il decreto Madia, la Camera di Commercio di Monza potrebbe benissimo rimanere da sola. Infatti la Brianza supera agevolmente il limite minimo di imprese iscritte, che viene fissato in 75mila, Monza ne conta ben 90 mila. Perché allora si sta pensando di accorparsi con Como e Lecco oppure con Milano? Perché si ragiona sull’ipotesi di cancellare la Camera di Commercio della Brianza? Il nostro territorio vanta accentuate diversità, per tradizione manifatturiera – pensiamo al settore del legno arredo – con un tessuto imprenditoriale votato all’artigianato e un dinamismo che ha sempre permesso alla Brianza di distinguersi. Qui nascono ancora oggi eccellenze di livello mondiale, in Brianza si sono scritte pagine importanti e storiche dell’industria europea. Perché dovremmo consegnarci ad altri? Poi l’idea di allargare la Camera di Monza a tutta la grande Brianza (Como e Lecco), seppur suggestiva a livello ideale, si ritrova un grosso ostacolo davanti a sé: Como non cederà mai lo scettro del comando a Monza, che a quel punto addirittura si ritroverebbe a subire le decisioni di Como. A nessuno questo sembrerebbe un grande risultato. L’idea di ritornare con Milano, la grande metropoli, sarebbe invece la pietra tombale per la Brianza. Non esisteremmo più, perderemmo l’unico baluardo rimasto a difesa di ciò che siamo e di ciò che vorremmo essere in futuro. Noi non siamo la periferia di una metropoli, e tantomeno il sotto impero di nessuno. Non è solo una questione di campanile, come qualcuno la vorrà alla fine raccontare, qui si tratta del futuro delle nostre imprese, che perdono il sostengo di una delle Camere di Commercio più virtuose ed efficienti d’Italia, merito che va riconosciuto a Carlo Edoardo Valli. Quale futuro vogliamo per i nostri imprenditori di domani? Perché dipenderà tanto dalle decisioni che prendiamo oggi. Vendere la Brianza a Milano sarebbe davvero vissuto come un tradimento, anche perché c’è chi in Lombardia ha già deciso di resistere: Varese e Bergamo per esempio, realtà simili come dimensioni a Monza, che difenderanno con tenacia il loro territorio. Perché noi dovremmo comportarci diversamente? Ci vorrebbe un po’ di orgoglio. Fa “rumore” come sempre, ma non più notizia, l’assordante silenzio della coppia Scanagatti-Ponti. Negli ultimi anni hanno assistito alla distruzione della Brianza, talvolta sogghignando, altre volte voltando le spalle. Povera Brianza. In tutti i sensi.