Il grano scende, il pane sale. Idem petrolio e benzina. Che succede?

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Da più parti si alzano le voci contro la speculazione dei prezzi. Solo colpa dei mercati? O siamo entrati in una tempesta perfetta?

grano

Il costo del grano è calato dell’8% in un solo giorno, dall’inizio della guerra. A sottolineare la notizia è stata Coldiretti, cogliendo l’occasione per rimarcare il trend speculativo che sta colpendo la più classica delle commodity. Effettivamente la notizia è di quelle che sorprende: c’è un conflitto in corso tra gli ex granai d’Europa (oggi lo sono del mondo, Asia e Africa), e il prezzo invece che salire, come tutti ci aspetteremmo, al contrario scende? E ancora, nonostante la flessione del prezzo, sugli scaffali (svuotati negli ultimi giorni) i prodotti da forno, pane, biscotti, pasta, continuano a salire. E’ speculazione?

Sicuramente la speculazione gioca un fattore importante, anche il ministro Patuanelli ha tuonato oggi per denunciare il rialzo anomalo dei prezzi nelle ultime settimane. Ma non spiega tutto.

Anche sul fronte del «caro benzina» più voci si alzano per registrare un dato anomalo: il prezzo del greggio non è affatto ai massimi storici, negli ultimi cinque giorni è pure calato del 20% scendendo sotto la soglia psicologica dei 100$ al barile.

Anche qui, però, il prezzo alla pompa schizza a cifre lunari, ormai stabilmente a ridosso dei 2,5€ al litro. Eppure nel 2008, con il barile a 145$, alla pompa il prezzo era di 1,37€. Perché?

Che succede insomma? Siamo di fronte ad una colossale speculazione?

Saremmo portati a sperare di sì, perché seppur dannosa e dolorosa, una speculazione è destinata ad evaporare. Senza contare che contro un atteggiamento speculativo si può pensare di mettere in campo, seppur con mille difficoltà e incognite sulla loro efficacia, qualche strumento difensivo. 

Il problema, purtroppo, potrebbe essere ben più grave di quello che semplicisticamente crediamo essere un effetto della guerra. Non che il conflitto non influisca, influisce e molto, ma rischia di essere il coronamento di un quadro già in precedenza molto complicato. 

Sull’apparente dissociazione inspiegabile del costo del greggio con il prezzo alla pompa, le spiegazioni in realtà ci sono, e le riassume bene questo articolo di Andrea Muratore su ilGiornale.it. Innanzitutto, la forbice, attualizzata ai prezzi odierni, non è così forte come sembra. Rimane comunque intorno al 25%, imputabile al rialzo dei costi che compongono il prezzo del nostro pieno, diversi e aggiuntivi al peso del greggio di partenza: costi di raffinazione, lavorazione, stoccaggio, distribuzione e, naturalmente, le odiate accise. 


La Lega chiede intervento urgente sulle accise

Proprio sulle accise si potrebbe agire in fretta e velocemente, congelando il prelievo fiscale che ci vede in testa alle classifiche mondiali del costo alla pompa (seppur in Italia vantiamo i prezzi della materia prima tra i più bassi). La lega lo sta chiedendo in maniera insistente al Governo. Sappiamo che chiediamo da tanto tempo una rivisitazione delle accise, ma questo è il classico momento in cui ci verrebbe da dire: se non ora, quando?

Nel frattempo si spera che si facciano sentire gli effetti del calo delle quotazioni del greggio: i produttori hanno aumentato il livello delle produzioni. Poi si sta aprendo al petrolio iraniano e si pensa di allentare le sanzioni al Venezuela, altro grande esportatore di greggio. Basterà? No, non basterà a far tornare i prezzi a quelli di molti mesi fa, sicuramente potrà far tornare il costo del pieno a livelli sopportabili per il sistema economico e produttivo.

Siamo entrati in una tempesta perfetta

Tutto parte però da lontano. L’allarme sui prezzi del grano, per esempio, si era già sentito ben prima dell’invasione Russa in Ucraina. Denunce sui prezzi alle stelle, con conseguente rischio sulla produzione della pasta, vengono lanciati già dal 2021. Eccone un esempio. 

La situazione economica post covid ha riscaldato l’inflazione, che è tornata a montare al galoppo, tutti i costi delle materie prime sono schizzati alle stelle, la crisi energetica ha ulteriormente complicato la situazione. Il gas che sale aumenta il costo dell’energia elettrica, trascinando petrolio e tutti i derivati. L’energia sta alla base di tutte le produzioni, perché serve per accendere le fabbriche. Aumentano i costi di produzione, quindi aumentano i prezzi. I carburanti servono per collegare le piattaforme di distribuzione, quelle che muovono i prodotti, quindi se il pieno di un autotrasportatore raddoppia, il costo del bene consegnato subirà un rialzo. E via, in una spirale di rialzo. 

Queste tendenze erano già in atto prima della guerra. La guerra, come prevedibile, non farà altro che complicarle. E colpirà tutto il mondo, nessuno escluso. Noi non acquistiamo quote significative di grano da Russia e Ucraina, ma non ci vuole molto ad intuire che se i contadini ucraini non pianteranno il prossimo raccolto, e se quello russo non verrà acquistato da molti stati, nel mondo mancherà un sacco di materia prima, la lotta per accaparrasela farà ulteriormente salire i prezzi. Prezzi che, ricordiamolo nuovamente, erano già ai massimi storici prima della guerra.

E non pensate che si potrebbe risolvere tutto limitando pasta e pane nella nostra dieta (comunque rimane uno dei prodotti principali delle tavole di tutto il mondo), perché la scarsità colpirà anche i foraggi per gli allevamenti, quindi anche la carne subirà inevitabili rialzi, pregiudicando anche la vostra voglia di dieta iper proteica. 

Insomma, siamo nel bel mezzo di una tempesta perfetta, con una situazione che sembra rispondere alla legge di Murphy: «Se qualcosa può andare storto, lo farà».

E’ il momento di dimostrare coraggio e forza, ritrovando fiducia verso la possibilità di indirizzare la politica a compiere le scelte migliori. Ora e adesso.