La Lega e la svolta nazionale

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Sabato si svolgerà il Congresso straordinario della Lega Nord, stranamente e per la prima volta a porte chiuse, con l’accesso solo per i delegati. Io non sono delegato, quindi non ci potrò essere. Peccato, perché come tanti militanti ho sempre cercato di non perdermene uno di congresso. Come quello del febbraio 1995, ci arrivai in stampelle con un femore operato solo una manciata di settimane prima. Era un congresso importante, reduci dal ribaltone i militanti spaesati cercavano conforto e speranza nelle parole del segretario. Il Capo lo sapeva bene, ci conosceva, eravamo sue creature e le prime parole del suo storico intervento furono tutte per noi. Ci elettrizzarono:

Cari militanti,
è in momenti difficili che si valuta la forza degli animi e degli uomini. Io tengo a dirvi subito che noi siamo venuti a questo Congresso non per armistizio o, peggio, per arrenderci.
Per la Lega, bandiera bianca mai!

Umberto Bossi, Milano – Palatrussardi 12 Febbraio 1994

I Congressi servono anche a questo, un momento per confrontarsi e chiarire una linea politica, una nuova strategia, serrare le fila e rinvigorire lo spirito delle truppe. Non è come un raduno o un semplice comizio, il Congresso è una cosa diversa ed è un peccato non essere riusciti a coinvolgere tutti i nostri militanti.

UN CONGRESSO DALLA PORTATA STORICA

A dispetto della poca attenzione mediatica, a parte qualche trafiletto qua e la, la giornata segnerà probabilmente una svolta importante nella storia della Lega Nord. La Lega Nord si trasformerà in associazione politica, includendo a se le nuove associazioni regionali, che verranno fondate proprio sabato. Verrà poi modificato l’art. 2 dello Statuto, all’apparenza una modifica semanticamente banale, ma che racchiude in se un grande valore politico. Da lunedì il Consiglio Federale della Lega Nord, senza passare attraverso un Congresso e con una semplice delibera, potrà aprire nuove “Nazioni”, che nella struttura federale della Lega equivalgono ad un livello regionale. La Lega Nord è frutto dell’unione in federazione dei diversi movimenti autonomisti che popolano la Padania (Lega Lombarda, Liga Veneta, Lega Piemont ecc.), e che costituiscono appunto le “nazioni” della Lega Nord. Da domani diventeremo così un movimento un po’ più uguale agli altri, più normale, in cui sarà possibile di fatto aprire nuove delegazioni regionali, senza che queste rappresentino un movimento autonomista già esistente. Ma quali nuove “nazioni” si potranno aprire? La Padania è già ampiamente coperta e rappresentata nella struttura della Lega Nord, quindi è palese come questa modifica voglia probabilmente agevolare l’apertura di nuove “nazioni” al Sud: Campania, Puglia, Calabria, Sicilia ecc.

LA SVOLTA NAZIONALE NON È UNA NOVITÀ

È la svolta nazionale che sta vivendo la Lega Nord, in forte espansione nei sondaggi, che si è posta l’obiettivo di raccogliere i voti anche al Sud Italia. Per fare cosa? In linea teorica per raggiungere l’indipendenza della Padania, visto che rimarrà immutato l’attuale fine statutario della Lega Nord sancito dall’art. 1; in realtà sappiamo però che il successo elettorale odierno è legato fondamentalmente al tema degli immigrati e in misura minore ai Rom. Così veniamo percepiti soprattutto al Sud, ma in buona parte ormai anche al Nord.

Molti vedono questa svolta come una novità, alcuni come un’opportunità altri un sacrilegio, una violazione delle sacre scritture leghiste. Hanno tutti un po’ ragione e un po’ torto, anche se credo che in realtà si inganni chi creda che tutto questo rappresenti davvero una novità per la Lega Nord. Non mi riferisco certo alle fallimentari esperienze della Lega Ausonia o della Lega Italia Federale, che non hanno avuto alcuna rilevanza o incidenza storica, né tantomeno successo elettorale.

Pensandoci bene, il dato politico di questi ultimi 20 anni è che la Lega Nord ha già tentato di raggiungere l’obiettivo autonomista e federalista attraverso una strategia “nazionale”, anche se non nazionalista, almeno in tre occasioni. La prima nel 1994, con la breve parentesi del primo Governo Berlusconi, e poi ancora nei governi di centro destra del 2001 e del 2008. Sia prima, ma soprattutto dopo la parentesi secessionista, la Lega ha cercato di riformare lo Stato in senso federalista battendo la via del governo nazionale, conquistato raccogliendo consenso anche al Sud, attraverso una coalizione. Risultati? Purtroppo scarsi, sempre per colpa di un Sud che ha ostacolato ogni tentativo di cambiamento.

ORA È DIVERSO?

In cosa questa nuova avventura sarebbe diversa? Oggi, dicono in molti, saremmo direttamente noi con la Lega o attraverso il movimento che porta il nome del nostro Segretario Federale (Noi con Salvini) a pigliare i voti. Poi, questa la tesi, una volta che abbiamo raggiunto il Governo con quei voti raccolti al Sud facciamo il Federalismo.

Potremmo subito obiettare che, per raccogliere quel consenso al Sud, non stiamo in realtà dicendo loro che il nostro obiettivo sarà eliminare la mangiatoia assistenzialista attraverso il federalismo, perché sappiamo che ci limitiamo ad agitare (in maniera giusta e sacrosanta sia ben chiaro) la scandalosa gestione degli immigrati da parte di un governo prossimo alla fine. Di federalismo non ne parliamo praticamente più. Forse perché è fuori moda, e questo è innegabilmente vero. Ma questo potrebbe persino essere irrilevante. Su una cosa Salvini ha ragione da vendere: i voti non puzzano e non hanno odore, si contano e basta.

Il problema in realtà è che quando pigli i voti al Sud, con qualsiasi lista, sigla o movimento, eleggerai parlamentari del Sud, figli di quella politica, di quella storia e influenzati dai problemi d quei territori. Che differenza potrà mai esserci tra un parlamentare che fu eletto nelle fila di An o Forza Italia al Sud e uno che sarà eletto sempre al Sud nelle liste della Lega Nord o di Noi Con Salvini? Nessuna, non illudiamoci. Questi qui come hanno minato accordi siglati tra le forze politiche del centro destra, tradendo le indicazioni die loro partiti, allo stesso modo lo faranno in futuro con noi, se necessario. Senza contare, particolare direi rilevante, che in molti casi si tratta proprio degli stessi esponenti che già hanno in passato avuto esperienze nei partiti dell’ex centro destra.

GUARDARE AL MODELLO SCOZZESE

in definitiva quella che oggi sembra essere una strada nuova, inesplorata, che ci solletica e ci esalta sulle ali della sbornia e dell’entusiasmo delle recenti elezioni e dei sondaggi, è in realtà la riedizione di uno schema già visto. E che non ha portato molto di buono, se non qualche poltrona pesante. Cercare il consenso al Sud attraverso mediazioni e compromessi con l’elettorato e la classe politica meridionale, per poi conquistare insieme il Governo dell’Italia, entrando organicamente in un Governo politico, è la stessa strategia che ci ha portati al fallimento di questi venti anni.

L’unica differenza era che prima nel farlo evitavamo di mettere a repentaglio il nostro simbolo, la nostra storia e la nostra stessa natura di partito localista e autonomista.

È stato giusto provarci, ma credo che sarebbe sbagliato perseverare nell’errore. Dovremmo pensare di esplorare e battere nuove vie verso la nostra indipendenza. In questo il modello scozzese dovrebbe essere il faro che ci illumina e ci guida. Il Partito Nazionale Scozzese (PNL), reduce da una campagna referendaria persa nelle urne ma vinta nei fatti grazie alle concessioni ottenute, non si è presentato alle ultime elezioni politiche in tutto il Regno Unito. Ha conquistato a livello nazionale una piccola percentuale (il 4,74%), ma ha raccolto il 50% in Scozia, calando a Londra con una truppa di ben 56 deputati. Certo in Gran Bretagna vige un sistema elettorale che prevede i collegi uninominali, che favoriscono nettamente i partiti territoriali, ma è anche vero che durante la riforma della legge elettorale mai abbiamo concretamente avanzato tale ipotesi al Governo, nonostante la sinistra sia storicamente affascinata dal sistema dei collegi uninominali.

Gli scozzesi hanno votato il PNL perché hanno visto un partito che in maniera coerente rappresentava e difendeva la Scozia, si batteva per la sua gente e ne incarnava le aspirazioni senza ambiguità o tradimenti. Una politica simile a quella del nostrano Südtiroler Volkspartei, oppure della CSU che opera in Baviera e a cui l’ex Segretario Federale Roberto Maroni aveva indicato di volersi ispirare. Certo la strada per noi è ancora lunga, lo sappiamo, ma continuare a divagare seguendo schemi già visti non accorcerà la comune lunga traversata nel deserto che saremo costretti a compiere, e intendo come popoli oppressi prima ancora che come partito o movimento. Una cosa è certa, come diceva Umberto Bossi: per la Lega, bandiera bianca mai!