Liliana Segre, non è tempo di una memoria condivisa?

Condividi articolo

L’arrivo di Liliana Segre in Consiglio Regionale potrebbe essere l’occasione di auspicare una memoria condivisa. Le premesse, però, non sono molto buone 

Segre
La Senatrice Liliana Segre

Martedì 11 febbraio Liliana Segre sarà ospite del Consiglio Regionale della Lombardia. Non so se avrò la possibilità di intervenire, se potessi farlo userei i pochi minuti a disposizione per chiedere una cosa semplice, con sincero rispetto, alla senatrice a vita: trova davvero utile e giusto continuare pervicacemente nel tentativo di dividere l’opinione pubblica su un tema che ormai da anni unisce praticamente tutti? Non vi è traccia, nel panorama politico italiano, di forze significativamente presenti che neghino, contestino o semplicemente non portino rispetto a una delle più grandi tragedie del ‘900: la Shoah, l’olocausto del popolo ebraico. 

Si poteva pensare che l’episodio della Commissione Segre, quella su cui si è fatto di tutto per dividere il Senato, fosse un episodio i isolato. Un inciampo occorso ad una persona che si ipotizza non esperta delle dinamiche parlamentari. Si poteva pensare, ma oggi la Senatrice Segre ci sta convincendo che nemmeno quello fu un inciampo, piuttosto una strategia per arrivare allo scontro.

Il sospetto nasce da come ha trattato la questione della via intitolata a Giorgio Almirante, scelta presa dal Comune di Verona. La Giunta scaligera lo ha fatto, volutamente, nello stesso giorno in cui ha deliberato di assegnare la cittadinanza onoraria alla Senatrice Liliana Segre. Poteva essere letto come un messaggio distensivo, un tentativo di riappacificazione. Un metodo, magari un po’ provinciale, per fare i conti con la storia e porre fine anche agli ultimi scampoli di odio a settant’anni di distanza. E invece, Liliana Segre, ha schiacciato la bile reagendo con queste parole:

«Una via Almirante a Verona? Oh, povera strada! Mi chiedo se sia lo stesso Comune. Le due scelte sono di fatto incompatibili, per storia, per etica e per logica. La città di Verona, democraticamente, faccia una scelta e decida ciò che vuole, ma non può fare due scelte che sono antitetiche l’una all’altra».

Beninteso, non deve per forza piacere una via dedicata a Giorgio Almirante. Se fossi chiamato a dire la mia non sprizzerei entusiasmo. Del resto, mi verrebbe da rispondere “povera strada” anche a quelle intitolate a Palmiro Togliatti o addirittura ad Arafat. Non è questo il punto, la questione è che non possiamo datare la figura di Almirante con l’orologio bloccato all’inverno del 1944. Anche perché, se così fosse, Liliana Segre dovrebbe schifare pure il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, testata dalle cui pagine viene quotidianamente lodata. Perché? Perché per Scalfari, ai tempi giovane e fervente fascista come Almirante, l’orologio ha continuato a battere le ore nei decenni successivi e la questione delle leggi razziali non gli è più stata addossata come colpa, anche perché né lui né Almirante ne furono i sottoscrittori materiali. E nemmeno per il marito della Segre, scopriamo in questi giorni, Almirante era incompatibile per storia, etica e logica con lei. Se è vero che ha sposato un uomo che ha condiviso con il MSI di Almirante l’esperienza politica, addirittura candidandosi per il Movimento Sociale nelle elezioni politiche del 1979. Sarebbe da annoverare come una figuraccia, ma non cadremo nella facile tentazione, perché questa semmai deve diventare l’ennesima occasione per raggiungere un obiettivo semplice, già a portata di mano: una memoria condivisa.

Sono passati settant’anni, direi che sarebbe giunta l’ora. Togliamo fiato e spazio agli antifascisti di professione, quelli che devono costruire il rischio del ritorno al fascismo per giustificare l’esistenza di un antifascismo che oggi appare sempre più solo livore e odio verso un nuovo avversario politico. 

Spero che non sia questo l’obiettivo di Liliana Segre, quello di dividere e di soffiare su un odio che è ormai spento nelle piazze e nelle case di tutti gli italiani.